Al Pigneto









Dalle ultime propaggini della Prenestina eravamo arrivati al palazzone della Società Autostrade sulla Serenissima, Corrado posteggiò me e il macchinone anni 70 davanti all’edicola, sparì velocemente ed io mi accesi una sigaretta disponendomi ad una lunga attesa.
Avevo appena lanciato il mozzicone acceso fin sotto il muretto quando riaprì la sua portiera sì infilò a sedere e partì a razzo. Sembrava che avessimo rapinata una banca! No, Corrado usava il suo tempo in modo spasmodico per riempire la giornata del maggior numero possibile di cose da fare. Gli occhi neri sotto i neri capelli, ritti come dall’elettricità d’una giornata grigia e piovosa, svettavano dalla strada al volante curando una guida spericolata ma non nervosa.
Mi lasciò, dandomi a malapena il tempo di liberarmi dai legami della cintura di sicurezza, come d’accordo, accanto a Piazzale Prenestino e fuggì verso le sue faccende.
A passi tranquilli attraversai la strada e mi gustai la solitudine della piazza nell’ora del pranzo.
Chissà dov’è via Ascoli Piceno, mi chiedevo. Fame: una rosticceria. Entro nel calore dei ripiani colmi di pizze e di fritti dorati cilindrici e triangolari e di sferette schiacciate e allungate .
Una bella signora dalla pelle colore dell’olio scuro parla fitto in arabo a un cliente che si informa sul contenuto dei vari solidi cilindrici e piramidali. Un moretto che impugna una paletta di metallo mi chiede, dopo avere salutato, cosa gradisco. Le lasagne mi sembrano degne di essere gustate. Con le lasagne e una birra mi sistemo accanto a una mensola lunga. Due giovani mamme con due carrozzine che occupano quasi tutto lo spazio non fanno neanche il cenno di spostarsi. Ma si sa: le mamme godono di tutti i diritti possibili.
Sono ingolfato dal giaccone e dall’ombrello e dal borsetto, quello che mi ostino a non abbandonare dagli anni 70, li poggio sullo sgabello, io resto in piedi.
Mi viene accanto un ragazzo nero, no anzi un grigio scurissimo, lui ci riesce a sedersi è magro, io quasi mi vergogno della mia grossezza ma riesco a farmi da parte quel tanto che basta e sto per attaccare le lasagne, ma c’è ancora qualcosa che succede. Il ragazzo è fermo e con gli occhi chiusi davanti al suo piatto verde di fegatini con patate, ha le mani quasi giunte e le sue labbra sussurrano qualcosa pianissimo. Io non so se è una preghiera o un ringraziamento a chi gli ha concesso ancora del cibo, sento che lo vedo riunito a qualcosa che ormai a noi è completamente sfuggito di mente, perché sappiamo che qualcosa da mangiare lo abbiamo sempre; a casa la dispensa e il frigorifero anche quello piccolo nel terrazzino sono pieni.
La breve sosta nel tempo dura poco, poi intorno tutto ricomincia a girare per il solito verso.
Le due mamme hanno finito e sono uscite; io ho ingoiato l’ultima forchettata di lasagne ; pago saluto ed esco nel piazzale che….da vuoto e silenzioso si è riempito di gente. Gente che bisbiglia, si dà manate sulle spalle , sorride e si racconta, è una piazza di paese alla domenica, ma oggi è venerdì e tutti quelli che stanno lì fuori hanno una veste lunga bianca o blu e un copricapo ricamato a ghirigori. Sono stordito e felice mi sembra di essere in un paese arabo nella piazza del mercato, il cielo splende di un chiarore grigio azzurro. Sono uniti a piccoli gruppi anche a due a due e attendono la funzione del venerdì, io non so di Moschee qui intorno, chiedo della strada che cerco : è proprio qui davanti e ancora non capisco. Entro nella via e più avanti c’è ancora fermento, i pilastri della tangenziale sono rimasti fuori lontano. Una discesa come di garage ai lati mucchi di scarpe e giù un salone colmo di persone: ecco la moschea. I miei amici mi spiegheranno che era prima una concessionaria della Renault. Sono nel cuore del Pigneto e ancora non lo so, ma il Pigneto mi è già entrato nel cuore.